venerdì 30 ottobre 2015

“SOCIETÀ FRA GUERRA E PACE: SUPERARE LE LOGICHE DEL CONFLITTO NEL MONDO DI DOMANI”




Riportiamo la traduzione integrale - nei giorni scorsi ne abbiamo pubblicato solo alcuni passaggi - dell'importante discorso tenuto da Vladimir Putin al Forum Valdai del 22 ottobre 2015 dedicato al tema: “Società fra guerra e pace: superare le logiche del conflitto nel mondo di domani”.

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PRESIDENTE DELLA RUSSIA, VLADIMIR PUTIN:

“Colleghi, signore e signori,

permettetemi di salutarvi qui, a questo incontro periodico del Club Internazionale di Valdai. È vero che per oltre 10 anni questo è stato il contesto per discutere gli argomenti più urgenti e considerare le direzioni e le prospettive di sviluppo della Russia e del mondo intero. I partecipanti cambiano naturalmente ma, nel complesso, quest’appuntamento di confronto mantiene la sua essenza, per così dire, ci siamo trasformati in una sorta di ambiente di mutua comprensione.

Qui la discussione è aperta: questo è un contesto intellettualmente libero per uno scambio di punti di vista, valutazioni e previsioni che sono molto importanti per noi, qui in Russia. Vorrei ringraziare tutti i politici, gli esperti, i funzionari pubblici ed i giornalisti russi e stranieri che hanno preso parte a questi incontri.

Quest’anno la discussione ha per oggetto la guerra e la pace. Quest’argomento è chiaramente stato oggetto di preoccupazione per l’umanità durante l’intero corso della storia. Se risaliamo all’antichità, già allora la gente s’interrogava sulla natura, sulle cause dei conflitti, sulla legittimità ed illegittimità dell’uso della forza, sulla questione se le guerre avrebbero accompagnato per sempre lo sviluppo della civiltà, con la sola interruzione di tregue temporanee, o sarebbe venuto un tempo in cui le dispute ed i conflitti sarebbero stati risolti senza la guerra.

Sono sicuro che voi qui abbiate ricordato il nostro grande scrittore Leone Tolstoj. Nel suo famoso romanzo “Guerra e Pace” scrisse che la guerra è in contrasto con la ragione e con la natura umana, mentre, secondo lui, la pace era un bene per la gente.

È vero: la pace, una vita pacifica, sono sempre stati un ideale per l’umanità. Statisti, filosofi e legislatori hanno sempre promosso modelli per un’interazione pacifica fra le nazioni. Varie coalizioni ed alleanze hanno proclamato che la loro finalità era assicurare una pace lunga e duratura, come si suole dire. In ogni caso il problema è che spesso queste coalizioni hanno poi scelto la guerra come strumento per risolvere le contraddizioni che lievitavano al loro interno, mentre la guerra stessa ha poi fornito la base per stabilire nuove gerarchie post belliche nel mondo.

In effetti la pace, come stato nella dinamica della politica mondiale, non è mai stata permanente e non si è mai prodotta da sola. I periodi di pace nella storia europea e mondiale si sono sempre basati sul mantenimento degli equilibri di forze esistenti. Questo è accaduto nel diciassettesimo secolo, al tempo della cosiddetta Pace di Westfalia, che mise fine alla guerra dei 30 anni. Poi nel ventesimo secolo, al tempo del Congresso di Vienna; e di nuovo 70 anni fa a Yalta, quando i vincitori sul Nazismo presero la decisione di costituire l’Organizzazione delle Nazioni Unite e di stabilire i principi base delle relazioni fra gli Stati.

Con la comparsa delle armi nucleari è diventato chiaro che in una guerra mondiale non ci sarebbero stati vincitori. Ci sarebbe stato solo un esito possibile: la reciproca distruzione assicurata. Così è accaduto che nel suo sforzo per creare armi sempre più distruttive il genere umano ha fatto si che ogni grande guerra diventasse inutile.

Di tanto in tanto i capi politici del mondo negli anni cinquanta, sessanta, settanta ed ancora ottanta, hanno minacciato di usare la forza militare come misura eccezionale. Tuttavia si sono comportati responsabilmente, soppesando tutte le circostanze e le conseguenze possibili.

La fine della Guerra Fredda ha posto fine alla contrapposizione ideologica, ma le questioni che avrebbero potuto provocare delle divergenze o dei conflitti geopolitici sono rimaste sul tavolo. Gli Stati hanno sempre avuto, ed avranno sempre, i loro interessi contrapposti, mentre il corso della storia mondiale è sempre stato contraddistinto dalla competizione fra nazioni ed alleanze di nazioni: tutto questo è assolutamente naturale.

La nostra prima preoccupazione è assicurarci che questa competizione si sviluppi all’interno di una cornice di norme e regole politiche, legali e morali prestabilite. Diversamente la competizione e i conflitti d’interesse potrebbe portare a crisi acute e ad esplosioni drammatiche.

Abbiamo assistito molte volte, in passato, a questo tipo di sviluppi. Oggi, sfortunatamente, siamo nuovamente giunti a fronteggiare situazioni di questo tipo. I tentativi di promuovere un modello di dominio unilaterale, come ho detto in numerose occasioni, hanno prodotto un’alterazione degli equilibri che governano il sistema del diritto internazionale e delle norme che disciplinano i processi globali, il che significa che esiste il pericolo che la competizione politica, economica e militare possa sfuggire dal nostro controllo.

Ad esempio: che pericoli potrebbe comportare per la sicurezza internazionale questa competizione incontrollata? Un numero crescente di conflitti regionali, specialmente in aree di confine, dove gli interessi delle nazioni principali entrano in contrasto. Il possibile naufragio del sistema di non proliferazione delle armi di distruzione di massa (altra eventualità che considero molto pericolosa) che potrebbe, come risultato, innescare una nuova spirale di corsa agli armamenti.

Abbiamo già assistito all’apparizione del concetto del cosiddetto “primo colpo disarmante”, che prevede l’utilizzo di armi non nucleari a lungo raggio e ad alta precisione dagli effetti comparabili a quelli delle armi nucleari.

L’utilizzo della minaccia di un attacco missilistico nucleare iraniano a guisa di pretesto, come sappiamo, ha distrutto la base fondante della moderna sicurezza internazionale, il Trattato Anti-Missili Balistici. Gli Stati Uniti si sono ritirati dal trattato in modo unilaterale. Lo diciamo per inciso: oggi abbiamo risolto la questione iraniana, e non c’è più alcuna minaccia dall’Iran così come, l’ho appena detto, non c’ è mai stata.

Il fattore che sembrava avere condotto i nostri interlocutori americani a costruire un sistema di difesa anti-missile è venuto meno. Sarebbe ragionevole attendersi che i programmi per lo sviluppo del sistema di difesa anti-missile USA vengano dismessi. Invece: che succede? Nulla del genere; anzi, l’opposto: tutto continua.

Recentemente gli Stati Uniti hanno condotto il primo test del sistema di difesa anti-missile in Europa. Cosa significa? Significa che avevamo ragione quando ci impuntavamo con i nostri interlocutori americani. Cercavano ancora una volta di ingannare noi e il mondo intero. Per dire pane al pane: stavano mentendo. La fantomatica minaccia iraniana non c’entrava nulla, non è mai esistita. Quello che si voleva davvero fare era distruggere l’equilibrio strategico, alterare i rapporti di forze a proprio favore, non solo per procurarsi una superiorità, ma per mettersi nella condizione di dettare a chiunque la propria volontà: ai propri avversari geopolitici e, credo, anche ai propri alleati. Questo è uno scenario molto pericoloso, minaccioso per tutti, inclusi, credo, gli stessi Stati Uniti.

Il deterrente nucleare ha perso la sua efficacia. Qualcuno probabilmente ha addirittura concepito l’illusione che sia nuovamente possibile per una parte vincere una guerra mondiale senza conseguenze irrimediabili, inaccettabili (come avvertono gli esperti) per il vincitore, ammesso che ce ne possa essere uno.

Negli ultimi 25 anni le riserve verso l’utilizzo della forza si sono ridotte sensibilmente. La vaccinazione contro la voglia di guerra, assunta da tutti noi a livello psicologico, subconscio, dopo due guerre mondiali, si è indebolita. La percezione stessa della guerra è mutata: per i telespettatori è divenuta man mano ed ormai è considerata una raffigurazione di intrattenimento mediatico, come se nessuno morisse nei combattimenti, come se la gente non soffrisse e come se intere città ed interi paesi non venissero distrutti.

Sfortunatamente la terminologia militare sta diventando parte della nostra vita quotidiana. Nello stesso modo, guerre commerciali e sanzioni sono diventate una realtà nell’economia globale di oggi: questa frase è ormai un luogo comune nel linguaggio usato dai media. Le sanzioni, d’altronde, sono spesso utilizzate come strumento di concorrenza sleale per mettere sotto pressione o azzerare la concorrenza dai mercati. Come esempio potrei additare il dilagare patologico di multe imposte a società, comprese società europee, da parte degli Stati Uniti. Si utilizzano pretesti inconsistenti, e tutti quelli che osano violare le sanzioni unilaterali americane vengono severamente puniti.

Sapete, potrebbero anche non essere affari della Russia, ma questo è un forum di discussione, e allora chiedo: è questo il modo di trattare degli alleati? No, questo è il modo di trattare vassalli che si sono azzardati ad agire secondo la propria volontà, e che vengono colpiti per punizione per il loro cattivo comportamento.

L’anno scorso è stata irrogata una multa ad una banca francese per un totale di quasi 9 miliardi di dollari, 8,9 miliardi, credo. La Toyota ha pagato 1,2 miliardi, mentre la Commerzbank tedesca ha sottoscritto un accordo per pagare 1,7 miliardi al bilancio americano, e così via.

Osserviamo nel contempo lo sviluppo di un processo inteso a creare blocchi economici non trasparenti, un processo sviluppato seguendo praticamente tutte le regole della cospirazione. La finalità è ovvia: riorganizzare l’economia mondiale in un modo che possa rendere possibile assicurarsi maggiori profitti grazie alla superiorità ed al differenziale esistente negli standard che regolano l’economia, il commercio e la tecnologia.

La creazione di blocchi economici attraverso l’imposizione delle regole degli attori principali non renderebbe ovviamente il mondo più sicuro, ma produrrebbe solo bombe ad orologeria, precondizioni per ulteriori conflitti.

Una volta c’era l’Organizzazione Mondiale del Commercio. È vero, la discussione non procede in maniera brillante in quel contesto, e la tornata negoziale di Doha si è risolta in un nulla di fatto. Ma dovremmo continuare a cercare soluzioni e compromessi, perché solo il compromesso può portarci alla creazione di un sistema di relazioni durature in ogni ambito, inclusa l’economia. Al contrario, se ignoriamo le preoccupazioni di alcuni paesi, partecipanti ai colloqui economici, se diamo per scontato che possano essere lasciati in disparte, le contraddizioni non si risolveranno, rimarranno. Il che significa che presto o tardi faranno sentire i loro effetti.

Come sapete, il nostro approccio è diverso. Nell’accingerci a creare l’Unione Economica Eurasiatica, abbiamo provato a sviluppare le relazioni con i nostri interlocutori, incluse le interconnessioni con l’iniziativa economica della Via della Seta cinese. Lavoriamo attivamente su di un piede di parità con i paesi del BRICS, dell’APEC e del G20.

Oggi lo spazio mediatico globale è a sua volta scosso da vere e proprie guerre, come si suol dire. Il “solo corretto” punto di vista, l’unica interpretazione degli eventi vengono imposti alla gente; certi fatti sono nascosti o manipolati. Ci siamo tutti abituati all’usanza di etichettare e di creare l’immagine di un nemico. Le autorità di paesi che sembravano essersi sempre conformate a valori come la libertà di parola e la libera circolazione dell’informazione, una storia che abbiamo ascoltato tanto spesso nel passato, oggi cercano di impedire la diffusione d’informazione oggettiva e di ogni opinione che differisca dalla loro. La chiamano “propaganda ostile” che bisogna combattere, utilizzando sistemi chiaramente antidemocratici.

Sfortunatamente ascoltiamo le parole “guerra” e “conflitto” con frequenza sempre maggiore, quando parliamo di relazioni fra genti di diverse culture, religioni ed etnie. Oggi centinaia di migliaia di migranti tentano d’integrarsi in una società diversa senza avere un mestiere e senza conoscere la lingua, le tradizioni e la cultura dei paesi in cui vanno a stabilirsi. D’altra parte i residenti di quei paesi (e dobbiamo prendere atto apertamente di questo, senza cercare di abbellire la situazione) i residenti, dicevo, sono irritati dalla preponderanza degli stranieri, dal peggioramento delle statistiche relative ai tassi di criminalità, dai soldi dei bilanci statali spesi per i rifugiati.

Certo, molte persone provano un sentimento di solidarietà per i rifugiati, e vorrebbero aiutarli. Il problema è come farlo senza penalizzare gli interessi dei residenti dei paesi di destinazione. In mancanza, lo scontro incontrollato e traumatico di differenti stili di vita può produrre (e in effetti sta già producendo) una impennata di nazionalismo ed intolleranza, facendo affiorare conflitti permanenti in seno alla società.

Colleghi, dobbiamo essere realisti: il potere militare naturalmente è, e rimarrà per un lungo periodo di tempo ancora, uno strumento di politica internazionale. Positivo o negativo, questo è un fatto della vita. La domanda è: sarà usato solo quando gli altri mezzi sono stati esauriti? Quando dobbiamo fronteggiare minacce comuni come, per esempio, il terrorismo, o quando lo facciamo in accordo con le note regole scolpite nel diritto internazionale. O useremo la forza con ogni pretesto, anche solo per ricordare al mondo chi è che comanda, senza darsi il minimo pensiero della legittimità dell’uso della forza e delle sue conseguenze, senza risolvere i problemi, ma solo moltiplicandoli.

Assistiamo a cosa sta accadendo in Medio Oriente. Per decenni, forse addirittura per secoli, conflitti inter-etnici, religiosi e politici ed acute problematiche sociali si sono accumulati in quella regione. In una parola: si stava già preparando una tempesta, quando i tentativi di risistemare con la forza la regione sono diventati la scintilla che ha provocato una vera esplosione, con la distruzione delle organizzazioni statali, un’impennata del terrorismo e, in conclusione, crescenti pericoli per il pianeta.

Un’organizzazione terroristica, il cosiddetto Stato Islamico, si è impadronita e controlla estesi territori. Pensateci: se occupassero Damasco o Baghdad le bande terroriste potrebbero ottenere nella pratica il rango di una potenza ufficiale, potrebbero creare una roccaforte per l’espansione globale. Qualcuno ci ha pensato? È tempo che l’intera comunità internazionale si renda conto di ciò con cui abbiamo a che fare: è, di fatto, un nemico della civiltà e della cultura mondiale che porta con sé una ideologia di odio e barbarie, calpestando, e quindi compromettendo, tutti i valori morali e religiosi, inclusi quelli dell’Islam.

Non c’è bisogno di giochi di parole: non dobbiamo distinguere i terroristi in moderati e non moderati. Ci piacerebbe sapere la differenza. Forse, nell’opinione di certi esperti, i miliziani cosiddetti moderati decapitano la gente su scala minore e in qualche modo più gentile.

Di fatto, noi oggi vediamo un vero e proprio miscuglio di gruppi terroristici. È vero: di tanto in tanto i miliziani dello Stato Islamico, di Jabhat al-Nusra e degli altri eredi e germogli di Al Qaeda si combattono fra loro, ma combattono per il denaro, per conquistare canali di rifornimento, ecco per cosa combattono. Non per ragioni ideologiche. E la loro essenza ed i loro metodi rimangono gli stessi: terrore, omicidio, riduzione delle persone a masse intimorite, impaurite ed obbedienti.

Negli anni passati la situazione si è deteriorata, le infrastrutture dei terroristi sono cresciute, con il numero dei loro seguaci, mentre le armi fornite alla cosiddetta opposizione moderata sono finite nelle mani delle organizzazioni terroristiche. Di più: intere formazioni sarebbero passate dal loro lato marciando, come si suol dire, a bandiere spiegate.

E a cosa è dovuto il fatto che gli sforzi, per esempio, dei nostri interlocutori americani e dei loro alleati nella lotta contro lo Stato Islamico non hanno prodotto risultati tangibili? Ovviamente non è a causa della mancanza di equipaggiamento o di potenziale militare. È chiaro che gli Stati Uniti possiedono un potenziale enorme, il maggiore del mondo: solo che le bugie hanno le gambe corte. Dichiari guerra ai terroristi e nello stesso tempo cerchi di usare alcuni di loro per sistemare gli assetti in Medio Oriente secondo quelli che potrebbero sembrarti i tuoi interessi.

È impossibile combattere il terrorismo se qualche terrorista viene usato come testa d’ariete per rovesciare regimi che non ci piacciono. Non si possono controllare questi terroristi, è solo un’illusione pensare di poterli successivamente gestire, portargli via il potere o mettersi d’accordo con loro.

La situazione in Libia è il migliore esempio di ciò. Speriamo che il nuovo governo riuscirà a stabilizzare la situazione, sebbene questa speranza non sia ancora un fatto. In ogni caso dobbiamo assistere questo processo di stabilizzazione.

Comprendiamo perfettamente che i miliziani che combattono in Medio Oriente rappresentano una minaccia per chiunque, inclusa la Russia. La gente nel nostro paese sa cosa significa un’aggressione terroristica e sappiamo cosa hanno fatto i banditi nel Caucaso del Nord. Ci ricordiamo gli attacchi terroristici condotti a Budennovsk, Mosca, Beslan, Volgograd ed in altre città russe. La Russia ha sempre combattuto il terrorismo in tutte le sue forme, ed ha chiesto con forza una vera unione degli sforzi della comunità globale per combattere questo male. Ecco perché noi abbiamo suggerito di costituire una grande coalizione anti-terrorismo, progetto che ho recentemente esposto in occasione del mio discorso alle Nazioni Unite.

Dopo che le autorità ufficiali della Siria ci hanno contattato per chiederci sostegno, abbiamo preso la decisione di lanciare una operazione militare russa in quella nazione. Lo sottolineo di nuovo: è una iniziativa pienamente legittima, e il nostro unico fine è aiutare a ripristinare la pace. Sono sicuro che le azioni dei militari russi avranno il necessario, positivo, effetto sulla situazione, aiutando le autorità ufficiali siriane a creare le condizioni per le successive azioni necessarie al raggiungimento di un’intesa politica e portando attacchi preventivi contro terroristi che minacciano la nostra nazione. In questo modo aiutiamo tutte le nazioni e le genti che sarebbero certamente in pericolo se questi terroristi tornassero a casa.

Ecco cosa pensiamo sia necessario fare per sostenere la sistemazione a lungo termine nella regione, così come la sua ripresa sociale, economica e politica. Prima di tutto, liberare i territori della Siria e dell’Iraq dai terroristi e impedirgli di spostarsi in altre regioni. Per fare questo dobbiamo unire tutte le forze: gli eserciti regolari iracheno e siriano, le milizie curde, i vari gruppi di opposizione che hanno dato un effettivo contributo nel combattere i terroristi, e coordinare le azioni dei paesi che si trovano dentro e fuori la regione nella lotta al terrorismo. Contemporaneamente, le comuni azioni antiterroristiche devono certamente fondarsi sul diritto internazionale.

In secondo luogo è ovvio che una vittoria militare sulle formazioni dei miliziani non risolverà da sola tutti i problemi. Creerà però le condizioni per la l’obiettivo principale: l’innesco di un processo politico che veda la partecipazione di tutte le forze sane e patriottiche della società siriana. Sono i siriani che devono decidere il loro destino con il sostegno civile e rispettoso della comunità internazionale, e non sotto pressione di forze esterne attraverso ultimatum, ricatti e minacce.

L’eventuale collasso delle autorità ufficiali siriane, ad esempio, non farebbe che galvanizzare i terroristi. Invece di sabotarle, quindi, dobbiamo in questa fase sostenerle, rafforzando le istituzioni statali nella zona teatro di conflitto.

Voglio ricordarvi che, nel corso della storia, il Medio Oriente è stato spesso l’arena in cui si sono scontrati vari imperi e potenze, che hanno ridisegnato i confini e rivoluzionato la struttura politica della regione in modo da farla corrispondere alle proprie preferenze ed ai propri interessi. In realtà nessuno ha mai chiesto agli abitanti la loro opinione. Gli ultimi a scoprire cosa sta succedendo nelle proprie nazioni sono proprio quelli che in Medio Oriente ci vivono.

Naturalmente questi fatti ci mettono davanti alla domanda: non sarebbe ora, per la comunità internazionale, di coordinare tutte le proprie azioni con la gente che vive in questi territori? Io credo che siamo già molto in ritardo: queste persone (come tutte le persone) devono essere trattate con rispetto.

Il coinvolgimento del clero musulmano, dei capi dell’Islam e dei capi di Stato delle nazioni musulmane nel processo di sistemazione politica è cruciale. 

Contiamo sulla loro posizione consolidata e sulla loro assistenza, così come sulla loro autorità morale. È molto importante proteggere il popolo, specialmente i giovani, contro gli effetti distruttivi dell’ideologia dei terroristi, che stanno cercando di usarli - né più né meno - come carne da cannone. Dobbiamo tracciare una chiara linea distintiva fra il vero Islam, i cui valori sono la pace, la famiglia, gli atti caritatevoli, il soccorso al prossimo, il rispetto delle tradizioni, e le menzogne e l’odio che i miliziani hanno spacciato come Islam autentico.

Quarto: abbiamo bisogno di perfezionare un programma per lo sviluppo economico e sociale della regione, per ripristinare le infrastrutture di base, gli alloggi, gli ospedali e le scuole. Solo questo genere di lavoro sul terreno dopo l’eliminazione del terrorismo ed il raggiungimento di una sistemazione politica potrà arrestare l’enorme flusso di profughi diretti verso le nazioni europee, e convincere quelli che se ne sono andati a fare ritorno alle loro terre natali.

È chiaro che la Siria avrà bisogno di una massiccia assistenza finanziaria, economica ed umanitaria per curare le ferite della guerra. Abbiamo bisogno di determinare il quadro al cui interno potremo assolvere a questo compito, coinvolgendo nazioni donatrici e istituzioni finanziarie internazionali. Già ora i problemi della Siria vengono discussi presso le Nazioni Unite e le altre organizzazioni internazionali, nel contesto delle discussioni diplomatiche. Per ora si tratta di un compito arduo, non riusciamo sempre a raggiungere un’intesa, ed è dolorosamente difficile abbandonare attese su quello che avrebbe potuto essere e calcoli ingiustificati, tuttavia si registra qualche progresso.

Vediamo che vengono gradualmente stabiliti contatti fra i dipartimenti militari all’interno del quadro delle operazioni anti-terrorismo, sebbene non così velocemente e attivamente come ci sarebbe piaciuto. L’approvazione del documento russo-americano sulle linee di sicurezza per le missioni di volo delle aeronautiche dei due paesi è un passo serio nella giusta direzione.

Siamo anche vicini ad iniziare uno scambio di informazioni con i nostri colleghi occidentali sulle posizioni e sui movimenti dei miliziani. Tutti questi sono di certo passi nella direzione giusta. La cosa più importante, per essere aperto e onesto, è comunque considerarci alleati in una battaglia comune. Solo in questo modo possiamo assicurarci la vittoria sui terroristi.

Con tutta la drammaticità presente nella sua attuale situazione, la Siria può diventare un modello di collaborazione in nome di interessi comuni, della risoluzione di problemi che affliggono tutti, e di sviluppo di sistemi efficaci di gestione dei rischi. Abbiamo già avuto quest’opportunità alla fine della Guerra Fredda. Sfortunatamente non ne abbiamo approfittato. Abbiamo avuto di nuovo quest’opportunità all’inizio degli anni 2000, quando la Russia, gli Stati Uniti e molte altre nazioni si sono trovate minacciate dalle aggressioni terroristiche e, sfortunatamente, nemmeno allora siamo stati in grado di stabilire una buona dinamica per la cooperazione. Non ritornerò, nel finale, sulle ragioni per le quali siamo stati incapaci di farlo. Credo che tutti le conoscano già. Ora, quello che è importante è imparare la lezione giusta da quello che è accaduto nel passato e procedere oltre.

Ho fiducia che l’esperienza che abbiamo acquisito e la situazione odierna ci permetteranno, infine, di compiere la scelta giusta: di scegliere la cooperazione, il mutuo rispetto e la fiducia reciproca, di scegliere la pace.

Grazie molte per la vostra attenzione”. 

Fonte
1. http://sakeritalia.it/sfera-di-civilta-russa/vladimir-putin/valdai-xii-il-discorso-completo-di-vladimir-putin/
2. http://en.kremlin.ru/events/president/news/50548